Il riscaldamento provoca notevoli modificazioni nella struttura chimico-fisica dei grassi e nel loro valore nutrizionale; nelle sostanze grasse per uso alimentare è in grado di provocare delle trasformazioni anche notevoli a loro carico. Poiché spesso gli olii e i grassi sono ingredienti fondamentali nella preparazione di alimenti che vengono consumati cotti (carni, uova, ortaggi, condimenti) e costituiscono il mezzo indispensabile per la cottura a temperature superiori a quella di ebollizione dell'acqua (100°C), come nel caso della frittura, è opportuno conoscere a quali modificazioni essi vanno incontro, anche perchè gran parte di esse non sono prive di conseguenze negative per la salute dell'organismo.
Trasformazioni chimiche - Le principali alterazioni che i lipidi subiscono con il riscaldamento sono
riconducibili a tre grosse categorie di trasformazioni chimiche:
- l'idrolisi consiste nella liberazione di acidi grassi dal loro legame chimico con la glicerina; questo fenomeno, di per sé non grave in quanto è la stessa trasformazione che si realizza durante la digestione dei grassi, può comportare lo sviluppo di un gusto piccante nell'alimento e di un aroma particolare che può risultare sgradevole;
- l'ossidazione consiste in una serie di reazioni in cui è coinvolto l'ossigeno atmosferico. Gran parte dei composti volatili e non volatili (ne sono stati individuati almeno 220 in un grasso cotto!) responsabili dell'odore e del sapore sgradevole che può assumere un grasso cotto, sono dovuti all'ossidazione;
- le reazioni di polimerizzazione consistono nella formazione di legami tra composti di media e piccola dimensione che si trasformano così in grosse molecole, sulla natura chimica ed eventuale tossicità delle quali ben poco è noto.
Tra i fattori che concorrono a determinare queste alterazioni la temperatura di riscaldamento del grasso è forse l'elemento più critico, ma una grande importanza riveste anche il tipo di sostanza grassa, la durata del
trattamento di cottura, la natura dell'alimento che viene cotto nel
grasso e la presenza di aria durante la cottura. Le reazioni di
ossidazione a carico di un grasso si verificano anche a temperatura
ambiente, sia pure assai più lentamente: il noto fenomeno per cui un
grasso viene definito "rancido" interessa anche alimenti che non vengono
riscaldati (tutti hanno certamente provato la sgradevole sensazione di assaggiare un cibo rancido: una nocciolina andata a male, un olio o del burro vecchio, un dolce conservato male e troppo a lungo). Ciò che rende peculiare l'irrancidimento dei grassi rispetto ad altre alterazioni è che esso può ayvenire anche su prodotti secchi come le farine e anche a bassa temperatura, come nei surgelati. Tuttavia, la stessa alterazione si verifica assai più rapidamente tanto più alta è la temperatura di riscaldamento del grasso. Già sopra i 100°C gli acidi grassi, più facilmente quelli insaturi, iniziano a modificarsi, a formare i lipoperossidi, sostanze pericolose che diventano quantitativamente rilevanti quando la temperatura si avvicina ai 200°C. Oltre i 200°C inizia la formazione dei termopolimeri, che sono sicuramente tossici per fegato e reni. La frittura è la tecnica di cottura in cui una sostanza grassa subisce il riscaldamento più intenso e prolungato, pertanto è l'operazione di preparazione di alimenti più delicata per le conseguenze che può avere sulla salute.
Gli acidi grassi insaturi vanno incontro con più facilità a questa modificazione per la presenza nella loro molecola di legami più facilmente attaccabili da parte dell'ossigeno atmosferico. Pertanto le sostanze grasse più indicate per la cottura sono quelle con un minor contenuto di acidi grassi insaturi. I grassi solidi sono quelli che ne contengono le minori quantità e sembrerebbero quelli che più si prestano ai trattamenti di cottura. In realtà, alcuni di questi grassi (tra cui il burro) subiscono trasformazioni a carico della glicerina (uno dei costituenti dei lipidi) con la formazione di acroleina, un composto volatile dall'odore assai sgradevole che ne sconsiglia l'uso in frittura. Altri, come lo strutto e il lardo, si prestano meglio allo scopo, ma esiste per questi grassi un'altra controindicazione ed è dovuta alla loro elevata viscosità e al loro elevato punto di fusione per cui, quando il fritto viene tolto dalla padella, non sgrondano facilmente e rimangono aderenti al prodotto quantità notevoli di grasso che finiscono così nella dieta: e, come si sa, il consumo di grassi concreti deve essere minimizzato.
Le conseguenze sulla salute - Le implicazioni nutrizionali di questa alterazione sono evidenti poiché si ha la distruzione di acidi grassi insaturi essenziali. Ma ve ne sono altre altrettanto gravi:
- l'ossidazione si svolge a carico di sostanze aventi azione di vitamine come i caroteni, la vitamina A, i tocoferoli (vitamina E), distruggendole;
- i prodotti risultanti dall'ossidazione dei grassi reagiscono con le proteine diminuendone il valore nutritivo e la digeribilità.
Inoltre, come si è detto, ben poco si sa sulle conseguenze che i composti formatisi durante il riscaldamento dei grassi hanno sull'organismo umano. Sembra certo comunque che la loro ingestione provochi una inibizione prolungata del flusso e della concentrazione degli acidi biliari e una riduzione della velocità di svuotamento gastrico; in altre parole, un più lento processo digestivo. In topi alimentati con grassi trattati al calore si è riscontrato un minor incremento di peso fino ad arrivare a danni più gravi come lesioni intestinali, epatiche, renali e comparsa di tumori. La causa di questi inconvenienti può essere ricercata nella presenza di sostanze irritanti e tossiche che, oltre ad agire direttamente, possono portare alla distruzione di vitamine liposolubili del grasso (A, D, K, E), influenzare negativamente l'attività lipasica, attraverso l'inibizione dell'enzima, e l'attività della flora batterica intestinale.
Gli olii più indicati per la frittura - Tra gii olii che per la loro fluidità sono più indicati per la frittura, troviamo l'olio d'oliva vergine a cui seguono l'olio di arachide e di germe di mais. Nell'olio d'oliva vergine si trovano i tocoferoli che in parte proteggono gli acidi grassi dall'ossidazione. La resistenza dell'olio alla frittura dipende anche dalla natura dell'alimento che viene cucinato: le patate, per esempio, concorrono minimamente ad alterare un olio durante la frittura, mentre pesci grassi, come le sardine, ne facilitano la degradazione per via dell'elevato contenuto di acidi grassi insaturi presente nei pesci.
Alcuni consigli utili - Tra gli accorgimenti consigliati per minimizzare i rìschi derivanti da un cattivo uso dei grassi in cottura ricordiamo:
- utilizzare per la frittura olii a basso contenuto di acidi grassi insaturi (olio di oliva vergine, olio di arachide, olio di mais). Fra i grassi solidi preferire lo strutto e il lardo, se ben tollerati;
- evitare l'eccessivo riscaldamento della sostanza grassa durante la frittura. Un criterio empirico, ma sufficientemente valido, prevede che si eviti di far "fumare" l'olio;
- non utilizzare per più volte lo stesso grasso di frittura: il riscaldamento ripetuto lo altera assai più che non un solo riscaldamento, anche abbastanza prolungato. Una volta formatesi le prime molecole di composti, da cui si originano poi sostanze potenzialmente tossiche, queste trasformazioni avvengono abbastanza rapidamente anche a basse temperature. Né vale il criterio di "rabboccare" il grasso con altro prodotto fresco perché anche questa nuova porzione va incontro alle stesse alterazioni.
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