Magro è bello: lo slogan, lanciato da una rivista di moda, comparve all'inizio degli anni Sessanta. Il riferimento, è ovvio, era alla linea femminile: la donna filiforme, prima impersonata da una famosa indossatrice inglese di nome Twiggy e poi adottata da tutti i creatori di moda nonchè dalla maggior parte dei registi cinematografici, si impose nel mondo intero.
Si pensò ad un ennesimo "ricorso" dei canoni della bellezza che, come è noto, sono legati all'economia: dopo la donna dalle forme generose venuta come reazione alle privazioni della guerra, arrivava la donna eterea, simbolo di raffinatezza e, paradossalmente, del ritrovato benessere. Per ambire al successo occorreva essere magri; ma quanto a lungo sarebbe durata la moda?
Furono in molti a pensare che gli anni Settanta avrebbero rimesso in voga le rotondità femminili. Il "ricorso", invece, non c'è stato se non come definizione del nuovo canone estetico (non donne-grissino ma semplicemente donne snelle). Nel frattempo, infatti, erano accadute due cose del tutto imprevedibili: anche per gli uomini, come per le loro compagne, il concetto di magro si era identificato con quello di successo; inoltre la medicina, forte dei primi dati statistici veramente significativi messi a disposizione dai cervelli elettronici, aveva sentenziato: magro non soltanto è bello, ma è sano. Per lei come per lui. Magro è inteso come dato fisiologico di "peso giusto", punto di equilibrio ideale tra salute, stato di forma fisica e bellezza del corpo.
Oggi stiamo vivendo una autentica rivoluzione estetico-sociale. Più che di "problemi di linea", ormai si parla di "stile di vita"; più che discutere se convenga o meno eliminare i chili di troppo, si ragiona su come ottenere il peso giusto e su come conservarlo mantenendosi in perfetta forma.
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